mercoledì 29 aprile 2015

Monte Jenca, 2208 m. (Gran Sasso d'Italia)

Gli assolati pendii che si innalzano sulla conca aquilana formano una lunga e compatta muraglia, la catena occidentale del Gran Sasso, un baluardo solcato da lunghi canali paralleli che dalla base salgono fin sulle creste sommitali, intervallate da una serie di vette quasi perfettamente coniche e allineate.
 
Qui la neve è la prima ad andare via, lasciando il posto ad estese praterie color ocra, dove i primi fiori di stagione iniziano a far capolino fra la fitta macchia bruciata dal gelo.

Alla base della muraglia corre una delle strade più belle e suggestive dell’intero Appennino che unisce l’antico borgo di Assergi con la strada per il Passo delle Capannelle.
Il nastro d’asfalto si insinua in un ambiente dal sapore bucolico, d’altri tempi, dove mandrie di animali da pascolo animano le praterie spingendosi dal fondovalle fin sulle cime erbose.
Macchie di pioppi secolari, segnano i fossati mentre fitti boschi di querce e conifere si alternano ad ampie radure dove vecchi stazzi e antiche masserie di montagna punteggiano le colline ondulate. 

Un piccolo gruppo di case si distingue tra tutte. E’ San Pietro della Jenca, una frazione di Assergi in cui si trova una piccola chiesetta di montagna, eletta da poco a Santuario, intitolato al Papa Giovanni Paolo II. Questo posto merita certamente una visita.

Procedendo lungo la strada, poco più avanti dell'incrocio di San Pientro della Jenca, si nota un cartello sulla destra con l’indicazione della Sorgente dell’acqua San Bernardo, a quota 1260. 
Qui si può parcheggiare in un amplio slargo. La vetta erbosa del monte Jenca è già visibile da qui. 
Il punto di partenza è caratterizzato dalla presenza di alcuni esemplari di pioppi plurisecolari che donano al sito una nota di interesse botanico. 

La giornata è serena. Non un filo di foschia e il vento è assente. L’unico suono che si ascolta è quello dell’acqua che scorre nel fossato e alimenta due fontanili.

Iniziamo la salita seguendo una comoda strada che costeggia il fosso, poi la lasciamo piegando leggermente a destra e rimanendo sempre nel vallone. 

Dopo circa venti minuti dalla partenza giungiamo ad un rifugio a 1410 metri di quota. Qui facciamo una breve sosta entrando all’interno della struttura dove troviamo un ambiente piuttosto ben curato e ricco di accessori per bivaccare in tutta comodità. 







Un soppalco abbastanza capiente permette ad almeno 6-7 persone di trascorrere la notte. 














Proseguiamo il nostro cammino aggirando il rifugio in ripida salita e puntando verso una formazione rocciosa costituita da una serie di grandi monoliti, unici in un ambiente quasi esclusivamente caratterizzato da praterie.

Da qui la salita rimarrà sempre molto ripida e costante per coprire i circa 700 metri di dislivello fino ai 2000 metri del Piano di Camarda.

Anche se esiste un sentiero, noi non lo troviamo e sfruttiamo i lunghi solchi paralleli lasciati dagli animali da pascolo che sul pendio hanno formato una sorta di immensa scala che risaliamo con fatica fino ad intercettare una strada carrozzabile alla quota di 1900 metri.  


Qui facciamo un incontro inaspettato e un po’ rischioso con una vipera appena risvegliata dal letargo invernale. Il suo soffio di avvertimento, forte e distinto, ci ha fatto capire che stavamo violando il suo spazio vitale. Se non fosse stato per il suo “grido d’allarme”, probabilmente l’avrei calpestata e le conseguenze non so se sarebbero state letali per lei o per me!
Per fortuna ci è andata bene e ci siamo limitati a fotografarla restandone in ogni caso affascinati.


La Natura è sempre ricca di sorprese, a volte non sempre gradevoli al primo impatto ma necessarie a comporre quello straordinario caleidoscopio che osservato nell’insieme ci affascina ogni volta. La consapevolezza di sapere che ogni elemento è necessario all’equilibrio di tutto l’ecosistema ci spinge ad amare anche le cose che il nostro istinto atavico tende a farci respingere.


Proseguiamo ora sulla comoda strada quasi senza pendenza che si infila nella sella tra il Pizzo Camarda e il monte Jenca. Il respiro ritorna regolare e le gambe si rilassano.
Passiamo davanti ad un grande stazzo quasi sepolto dalla neve. A causa dell’assenza di finestre, notiamo che all’interno la neve ha praticamente occupato ogni spazio e in alcuni punti è salita fin sui soffitti trasformando quella struttura in una sorta di neviera.



Dopo lo stazzo l’ambiente cambia totalmente assumendo caratteri alpestri e con la neve alta che ci costringe ad indossare le ciaspole. In poche decine di metri dallo stazzo giungiamo sul Piano di Camarda, una conca carsica a circa 2000 metri di quota, aperta e luminosa dove i due laghetti che ne occupano una parte, dormono ancora sotto una spessa coltre di neve e di ghiaccio.
Più a destra le vette dei due Corni e del Pizzo Intermesoli completano il quadro d’insieme.

Straordinario colpo d’occhio sul monte Corvo, uno dei più severi e quasi inviolabili giganti del Gran Sasso, con i suoi caratteristici archi rocciosi paralleli che ne disegnano il profilo tipico.

Mancano soltanto 200 metri di dislivello per raggiungere la vetta del monte Jenca che da qui ci appare come una bassa collina innevata.
Si sale gradualmente ed i panorami verso quelle montagne che dal Piano di Camarda già ci apparivano completi, assumono un aspetto ancora più aereo e incredibilmente spettacolare. 

Ed eccoci in vetta, a 2208 metri di quota.
Voltiamo lo sguardo verso nord ovest e il vicino monte San Franco ci appare in tutta la sua interezza. 
Poi guardiamo a nord, dove la tormentata superficie del lago di Campotosto colora di un azzurro intenso il paesaggio, sovrastato dall’innevato Monte di Mezzo, primo avamposto occidentale dei monti della Laga.
Più ad est il monte Corvo è il primo di una serie di grandi montagne che compongono un eccezionale panorama.



Restiamo in vetta poco più di un’ora ma il tempo come sempre in queste occasioni sembra volare, un po' come quel vento che nel frattempo si è alzato da est, abbassando la temperatura e sibilando tra le pietre ed i fili d’erba secca. Il cielo è completamente sereno. Decidiamo di scendere direttamente sui ripidi prati della dorsale ovest, ricollegandoci con il percorso fatto in precedenza, in pratica senza ripassare dal Piano di Camarda.



La montagna, da sempre scuola di vita, anche questa volta ha creato come tante altre volte l’occasione per confrontarsi con il compagno d’avventura del momento, facendoci esternare ciò che nella vita di tutti i giorni resta dentro di noi, bloccato dalla corazza trasparente che inconsciamente ci costruiamo per difenderci dalla vita e che qui, tra i panorami sterminati e queste pietre battute dal vento, trova libero sfogo.  











Dopo una lunga discesa giungiamo al fontanile dove ci bagniamo con l’acqua della sorgente, freschissima e invitante. 
Poi ci spostiamo di poco verso San Pietro della Jenca dove nell’invitante area di pic nic antistante il piccolo Santuario consumiamo pizze dolci e salate, annaffiate da birra fresca.




L’ambiente, inserito in una magnifica cornice di montagne innevate, prati verdi e alberi in veste primaverile ricoperti di fiori rende ancora più godibile quel momento.



E’ come se la montagna si fosse in un certo senso animata, dandoci una carezza finale dopo un itinerario tecnicamente impegnativo e spesso faticoso, anche se straordinariamente panoramico.












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