giovedì 5 marzo 2015

L'odore della neve

Dal caldo e accogliente abitacolo della macchina, la conca reatina ci appariva nelle prime luci del giorno già discretamente innevata e immersa in un’atmosfera quasi ancestrale, in un foschia grigio-azzurra che si posava immobile e leggera come un velo da sposa sulle campagne circostanti.

Giungiamo al piccolo paese di Vazia, la porta occidentale del Terminillo. Qui il manto nevoso era decisamente più consistente e di un bianco abbagliante sotto i primi raggi del sole. 

Proseguiamo sulla strada che sale decisa verso la montagna di Roma ma soltanto dopo il grande prato di Pian de Rosce, a poco più di 1000 metri di quota, il paesaggio diventa surreale, con i faggi carichi di neve fresca, caduta fino a poche ore prima.

La strada sale ancora e all’altezza del camping ci appare lo svettante campanile a cuspide della chiesa di San Francesco, che preannuncia l’abitato di Pian de’ Valli. Lo superiamo proseguendo verso il rifugio Sebastiani, ma la neve blocca il transito costringendoci a parcheggiare alla rotatoria.
L’imprevisto non ci disturba e ci adattiamo alla nuova situazione proseguendo a piedi verso il rifugio, immergendoci in un paesaggio bloccato dal gelo e immerso nella sua silenziosa immobilità, nel regno dell’inverno più severo.


Ed è qui che avverto l’odore della neve. Una sensazione, non qualcosa di oggettivo.
E’ un odore che non si sente con l’olfatto ma si percepisce con gli altri sensi. 

Difficile da spiegare ma lo abbiamo sentito tutti, provando la stessa sensazione di un qualcosa di indefinibile.
Prendo la neve in mano. E’ asciutta e impalpabile. L’avvicino al naso e percepisco quell’odore. 

Osserviamo il paesaggio intorno soffermandoci sui particolari, i granelli di ghiaccio che brillano al sole, il silenzio quasi ossessivo e percepisco ancora quell’odore così asettico.

Poi riprendiamo a camminare ed i nostri passi nella neve creano un frastuono che ci distoglie da quella sorta di contatto simbiotico con l’ambiente ma quell’odore si fa persino più forte con l’aumentare del ritmo del nostro respiro.
Raggiungiamo il rifugio dove bivacchiamo al lungo. 

Il programma era quello di salire sul monte Elefante ma ormai si è fatto tardi ed è quasi ora di pranzo.

Poi il rumore di un motore in lontananza spezza il silenzio. E’ uno spazzaneve che sta liberando la strada e risale lentamente i tornanti fino al rifugio. Dietro di lui c’è una breve fila di macchine tra cui quella di Maurizio, il gestore del rifugio, che da lì a poco più di un'ora ci preparerà la sua mitica polenta con la salsiccia.

Poi, dopo un caffè e una bella chiacchierata condita dalle sue celebri e accattivanti filosofie, di nuovo giù, lungo la strada fino alla macchina, a respirare ancora l’odore della neve.